discussione anche alcuni paradigmi consolidati.
Il Ministero dell’istruzione sta elaborando i risultati degli scrutini finali di quest’anno, ma, considerando che nella scuola secondaria di II grado vi sono giudizi sospesi, bisognerà attendere settembre per disporre di un quadro complessivo definitivo.
Gli ultimi dati (in valori percentuali) pubblicati dal Miur si riferiscono a tre anni fa, quando i bocciati tra scrutini di giugno e quelli di agosto/settembre nelle superiori (5° anno escluso) furono oltre 318 mila su 2.108.146, pari al 15,1%.
Se si considera che la dispersione complessiva nella scuola secondaria superiore statale – vero male oscuro della scuola italiana, con ripercussioni sul benessere della società e dell’economia del nostro paese – è intorno al 28%, non si può non pensare che esista una correlazione tra i due dati: la bocciatura in questo settore è spesso l’anticamera degli abbandoni. In molti casi i ragazzi non si sollevano dalla bocciatura e rinunciano, subito o successivamente, al corso di studi. In alcuni casi lo cambiano, in altri abbandonano definitivamente.
Se è così, favorire il successo scolastico diviene centrale nel prevenire e ridurre la dispersione, individuando nuove strategie di apprendimento.
Proprio alla dispersione e ai possibili rimedi per combatterla, Tuttoscuola ha dedica uno specifico dossier di 50 pagine, già presentato in audizione alla Camera e successivamente integrato, con tabelle e commenti, disponibile gratuitamente dal portale tuttoscuola.com (questo il link diretto: http://www.tuttoscuola.com/?33308). Lo studio include tutti i dati aggiornati per regione, provincia e ordine di scuola e una serie di proposte, alcune destinate a far discutere, a partire da una decisa azione di contrasto contro le bocciature nei primi due anni di scuola secondaria superiore, attraverso da un lato piani di studio più flessibili e personalizzati e dall’altro corsi di recupero obbligatori pomeridiani ed estivi.
Ma le proposte sono numerose e toccano anche gli ordinamenti, e sono fatte nello spirito di stimolare un dibattito che coinvolga tutti i soggetti interessati ai problemi della scuola in questo Paese. D’altro canto si tratta di una vera emergenza, e va affrontata come tale.
Analizzando i dati delle bocciature (gli ultimi resi disponibili dal Miur – alla faccia degli “open data” – sono quelli di tre anni fa), emerge che negli istituti professionali la percentuale di studenti bocciati (5° anno escluso) è stata del 27,5% (e il tasso di abbandoni è vicino al 40%), mentre negli istituti tecnici ha sfiorato il 20% (tasso di dispersione intorno al 30%). Nei licei classici la percentuale di studenti non ammessi è stata del 5,3% (dispersione intorno al 19%), nei licei scientifici del 7,5% (dispersione al 22%) e negli ex-istituti magistrali del 10,8% (dispersione intorno al 25%).
Il punto di maggiore criticità, come al solito, si è avuto nel 1° anno di corso con il 21,7% di respinti, corrispondente a oltre 130mila studenti non ammessi; nel 2° anno di corso è stato del 13,2% (quasi 70mila respinti), nel 3° anno del 12,6% (oltre 64mila respinti) e nel 4° anno del 10,6% (50mila respinti).
Come è andata quest’anno? E come si concluderà ad agosto/settembre? Non si prevedono sostanziali cambiamenti, perché i criteri adottati non sono cambiati, né sono state messe in campo particolari azioni di prevenzione che possano aver fatto cambiare il risultato finale.
Visti i numeri, è possibile tentare di approfondire le cause del fenomeno. Da che dipendono le bocciature? Da un modello pedagogico-valutativo tradizionalmente centrato sull’idea che gli studenti debbano necessariamente raggiungere determinati standard di apprendimento in una serie di discipline per essere ammessi all’anno successivo.
Ed è dunque questa l’idea che va messa in discussione, anche alla luce del più recente dibattito nei campi della psicologia dell’educazione, delle scienze cognitive e delle neuroscienze, teso a riconoscere e valorizzare la multiformità delle intelligenze.
In questo senso, è forse opportuno seguire il dibattito, molto vivace ora in Francia e non solo, sull’abbandono del tradizionale modello valutativo centrato su conoscenze misurate con prove rigide, a scadenze fisse, fin già dalla scuola primaria. Di certo vanno pensate modalità che portino gli studenti a colmare in tempo le proprie lacune e che valorizzino i talenti dei giovani, dove ci sono, anche in presenza di altre lacune non del tutto colmate.